I Quattro Mori
Quando abbiamo parlato di Piazza Cavour pensavamo che c’era ben poco da scoprire o da dire su questa piazza che tutti i livornesi conoscono come il punto centrale per eccellenza della città.
Stessa cosa potrebbe valere per i Quattro Mori, il monumento che rappresenta Livorno, il monumento più conosciuto, forse il più significativo. E sicuramente non tutti i cittadini livornesi conoscono per intero la sua storia.
Potremmo iniziare dal dire che furono due schiavi del Bagno delle Galere di Livorno, Morgiano e Melioco, ad ispirare Pietro Tacca da Carrara (1557-1650), “celeberrimo fusore di bronzi e statuari”, per realizzare i mori, che furono posti alla base del monumento, ma solo la prima coppia, nel 1623: l’altra coppia fu aggiunta nel 1626, quando regnava Ferdinando II. C’è da dire che i due schiavi che si “prestarono” per fare da modelli, per la loro pazienza nell’assumere le posizioni volute dal Tacca, ottennero la grazia. Morgiano, il più giovane dei due mori, si trasferì a Firenze dopo aver messo su famiglia, e sembra che ogni tanto portasse la moglie ed i figli a Livorno per farsi ammirare da loro: non era da tutti, soprattutto se schiavi, o ex schiavi come nel caso di Morgiano, essere immortalati e scolpiti in bronzo da un talento come il Tacca.
La statua di Ferdinando I fu eseguita da Giovanni Bandini (1540-1599), detto dell’Opera, eretta per indicare al popolo le vittorie che la Marina militare toscana riportò sui Turchi e sui Barbereschi.
I cittadini rimasero colpiti da quell’enorme blocco di marmo e dall’imponenza del Granduca, così che lo chiamavano Ferdinando di Porto.
Alcuni critici giudicavano la statua del Granduca goffa, sgraziata e pesante, ma chi difendeva l’opera di Pietro Tacca diceva che la figura di Ferdinando, pur indossando una veste guerresca, che mostrava il petto chiuso da una corazza sulla quale vi è posta la Croce dell’Ordine di Santo Stefano, che aveva bracciali di ferro, i guantoni alla mani e schinieri metallici alle gambe, appare su quel piedistallo con atteggiamento solenne, con proporzioni ben calcolate.
I Quattro Mori hanno anche ispirato “rispetti” di cui ne riportiamo uno del Tigri e l’altro raccolto nella provincia di Lucca. “Alla marina, che c’è i Quattro Mori, veniteli a vede’ come son neri, son quattro ladroncelli rubacori”; “O luna, che fai lume a’ Quattro Mori, fai lume ai bastimenti e ai marinari, fai lume all’amor mio che va ‘n Algeri”.
I “rispetti”, per chi non lo sapesse, sono dei componimenti di intonazione sentimentale, di origine popolare, diffusi soprattutto in Toscana.
La statua di Ferdinando I fu posta sul basamento marmoreo nel 1612 e, come abbiamo detto, i mori furono aggiunti alla base qualche anno più tardi. Di Giovanni Bandini, lo scultore, si deve ricordare la statua di Ercole che uccide l’Idra alla Villa Medicea di Camugliano, i rilievi dei recinti del Coro di Santa Maria del Fiore in stile stiacciato (tecnica scultorea), una Giunone a Palazzo Vecchio a Firenze, le statue di Venere e dei mostri marini nei giardini di Palazzo Budini Gattai.
Il monumento dei Quattro Mori inizialmente fu collocato sulla destra uscendo da Via Grande, vicino all’imboccatura di Via Fiume (allora Via del Giardino), e lì vi rimase fino al 1888, poi, per ragioni estetiche e urbanistiche, fu spostato di venti metri, cioè nel punto dove si trova adesso. Quando fu smontato per il trasferimento, e riparati i danni causati dal tempo, vi furono aggiunte otto lastre, o specchi, di marmo rosa: specchi che non erano stati posti nel 1626 durante la realizzazione.
Si è detto che i mori furono aggiunti alla statua di Ferdinando I per mostrare le vittorie contro i corsali levantini, e questo doveva essere di monito per farli desistere da altri attacchi o da escursione piratesche. In realtà vi erano ancora pirati che si aggiravano nei pressi della Gorgona, e si spingevano verso il Fanale e il Molo nuovo, spaventando le donne che avevano i loro uomini in mare per pescare. Si legge una testimonianza di un uomo datata 8 aprile 1765: “Si vede in queste vicinanze un bastimento Corsale barberesco, che alle viste di questo Porto ha predato diversi piccoli Bastimenti, e fatti diversi stiavi”.
I livornesi allora si aspettavano che le autorità prendessero dei provvedimenti. Il tempo di preparare le difese e l’11 aprile del 1765 il popolo imbraccia le armi. Il Diarista dell’epoca così descrive: “Si fanno delle spedizioni di soldati per guardare questa Costa di Marina di Levante dai Corsari Barbereschi, cioè – al Lazzeretto di S. Jacopo, e i suoi contorni. Due cento Soldati con il Sig. Tenente Colonnello Serra, e altri Ufficiali. – All’Antignano 30 Soldati, comandati dal Sig. Waron. – Ai Cavalleggieri 34 Dragoni venuti da Pisa. – Ordinato ai Popoli di Maremma di star pronti colle loro armi ad ogni chiamata; alli Cavalleggieri, che vi si ritrovano, di battere la Marina notte e giorno”.
Ma i Quattro Mori, pur se capitanati da un superbo “Ferdinando di Porto”, da quel che si raccontava, non atterrivano più di tanto le scorrerie barberesche, tanto che il monumento rimase solo un simbolo totalmente innocuo.
Il Magri ci riferisce che la data del monumento risale al 1609, e questo dice: “In quest’anno si disdegna alla marina la statua di questo fortunatissimo Principe (Ferdinando I), che poi fu arricchita di altre 4 statue di bronzo, che stanno legati a’ suoi piedi, opera bellissima…”. Ma le date non tornano. Le ricerche del Bonaini ci dicono che Giovanni Bandini andò a Carrara nel 1595 per abbozzare la statua di Livorno, e che poi, via mare, fu trasportata a Livorno nel 1601. E nessun documento ci parla del monumento eretto nel 1609. Resta perciò la fonte più veritiera, che è quella che ci dice che il monumento fu innalzato il 24 aprile del 1612.
Leggiamo in una lettera del Tacca che le due granduchesse tutrici e reggenti durante la minorità di Ferdinando II, Cristina e Maddalena, gli avrebbero dato l’ordine, per volere di Cosimo II, di sostituire la statua di Ferdinando I con quella della Religione di Santo Stefano. Ma il Tacca non accettò tale incarico e si recò a Firenze per terminare i quattro mori.
I livornesi si sono sempre vantati dei Quattro Mori, e nel tempo non sono mancati i poeti vernacoli che per loro hanno usato un linguaggio di ammirazione e decantato ai forestieri le qualità.
Cic.: Che robba eh?
For.: Stupendo!
Cic.: È vattro mori! Lo vede Ferdinando? dia, parvero! Son der Tacca, di bronzo; che lavori! Qui ci doventa scemo ‘r forestiero! Eran pirati, dice, marfattori; Ma lui te l’arrembò da gran guerriero.
For.: A Livolno li prese oppure fuori?
Cic.: Questo ‘un lo potre’ di perché nun c’ero. Di là si vede tutt’e quattro nasi… Guardi le fasce! È tutto ben tappato…
For.: Ma uno e con la foglia, … stona quasi.
Cic.: Ni stonano e’ pucini, ber mi’ tato! Varsiasi monumento resta ‘asi! Quello ha la foglia, è segno che c’è nato!
(Davini, Livorno in vernacolo, 1892)