Livorno in musica ieri e oggi: intervista al batterista Alessandro Baldeschi

  • Pubblicato: Sabato, 29 Ottobre 2022 10:43
  • Scritto da Massimo Volpi

D: Alessandro Baldeschi... batterista fin dalla nascita immagino... per la gioia dei tuoi vicini di casa.
R: In verità ho iniziato a suonare la batteria un po' tardi... avevo 16 anni. Devi sapere che io sono nato a “pane e musica”: mio nonno suonava il bombardino nella banda cittadina e mio babbo era un virtuoso; suonava infatti il sassofono, il clarinetto e il flauto. La sera non avevamo ancora la televisione e la radio era il nostro passatempo; naturalmente in un ambiente familiare del genere era facile sintonizzarsi sui canali musicali. Avevo dieci anni quando mio padre decise che dovevo frequentare l'Istituto Mascagni e imparare a suonare il violino. Ma quello strumento non faceva per me, con gran rammarico di mio padre. A sedici anni la “svolta”: un mio caro amico mi propone di iniziare a suonare la batteria di sua proprietà. Io non ho mai avuto una batteria in casa mia... andavo in Via San Luigi… quindi la gioia era tutta degli inquilini di quello stabile.
D: Hai iniziato nel lontano 1965 con il gruppo Siderali suonando soprattutto nei circoli rionali riscuotendo molti consensi... bei tempi...
R: Nel 1963 fui assunto alle Poste e con il mio primo stipendio mi feci un bel guardaroba alla moda, ma con il secondo comprai una bella batteria. Nacquero nel 1965 i Siderali riscuotendo da subito un bel consenso. Circoli rionali ma non solo ci davano la possibilità di esibirci e noi lo facevamo molto volentieri. Poi come spesso succedeva, le fidanzate di alcuni sciuparono tutto e il gruppo si sciolse.
D: Poi nel 1967 dalle ceneri dei Siderali nascevano i Lords. Che ricordi hai?
R: Delle cosiddette ceneri c'ero solo io. Ma non fu difficile “mettere su il gruppo”. A quel tempo all'Attias c'era un vero e proprio “mercato del musicista”; la vicinanza del negozio Pietro Napoli faceva sì che molti musicisti livornesi frequentassero la zona e così nacquero i Lords.
D: Il vostro era un repertorio fatto di cover molto accattivante.
R: Si faceva tutto per tutti. Nelle sale da ballo dovevamo “andare dietro alla moda” musicale del tempo, dovevamo suonare “i balli” del momento, far ballare la gente. I proprietari di dancing ci cercavano soprattutto in estate ma non solo. Il Jolly Beach di Bibbona ci fece un contratto da giugno a settembre... tutte le sere meno il lunedì. Era duro ma gratificante. In inverno invece ci chiamavano a suonare nelle feste comandate e nelle feste private.
D: Nel 1970 il gruppo si scioglie... che successe?
R: Non è esatto dire che si sciolse: si modificò. Fidanzamenti, matrimoni, lavoro, orari fecero sì che alcuni elementi abbandonassero il gruppo mentre altri li sostituivano. Le sale da ballo avevano scelto di cambiare, i dj avevano preso il posto delle orchestre ma rimanevano sempre le varie feste di partito che permisero al gruppo di lavorare fino al 1998.
D: Hai avuto altri complessi o hai “attaccato le bacchette al chiodo”?
R: Dopo una breve parentesi nei Sovrani con Gigi Orlandi ho attaccato le bacchette al chiodo. Pensa non ho più neanche la batteria!
D: Quali sono stati i tuoi mostri sacri, i batteristi che imitavi davanti allo specchio?
R: Sinceramente nessuno. Non avevo un modello al quale mi ispiravo.
D: Gli anni '60... anni irripetibili... la musica, la gioventù. Raccontaci.
R: Ci vorrebbe un libro! Gli anni 60... un sogno: gioventù, belle ragazze, una vita spensierata... non mi far ricordare...
D: Tutti noi abbiamo rimorsi e rimpianti che ogni tanto fanno capolino... musicalmente parlando, qual è il tuo più grande rimpianto?
R: Uno grosso. Era il 1978 quando fui contattato dall'impresario Bentivoglio. Voleva costituire un trio: pianoforte, basso e batteria per fare musica d'ascolto durante il pranzo e la cena al Gran Hotel Hilton di Abu Dabhi che al tempo si chiamava Repubblica Araba Unita ed era sul punto di esplodere turisticamente. La paga? Tre milioni e mezzo al mese quando alle Poste guadagnavo 600.000 lire. Non ci crederai ma dissi di no. Un altro rimpianto è quello di non avere studiato musica e uno strumento individuale. La batteria infatti è sì uno strumento ma ha bisogno della “compagnia” di altri strumenti. A conti fatti, mio padre aveva ragione.
D: Chi è oggi Alessandro Baldeschi?
R: Un pensionato ancora innamorato della musica che pagherebbe oro per tornare a sedersi dietro una batteria.

  

  

 

 

 

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