Livorno in musica ieri e oggi: intervista al tastierista Simone Di Maggio
- Pubblicato: Sabato, 23 Gennaio 2021 11:37
- Scritto da Massimo Volpi
D: Simone Di Maggio, tastierista, anche se un po’ riduttivo...
R: Potrebbe sembrare, ma non è così. Ho cominciato con le corde, poi PC ed annessi, controller MIDI… Se ti riferisci alla tastiera del computer, quella tanta anche ora.
D: A memoria mi sembra di ricordare che il tuo primo gruppo fossero gli Almayer...
R: Che memoria! È stata la mia prima band importante alla quale lego un periodo fantastico della mia vita: le prime registrazioni e la compilation 15 Italian Dishes – la curai io dando vita a Raving Records, insieme ad Alessandro Baris dei Comfort. Il picco degli Almayer fu il tour con i The Lapse di Chris Leo: una settimana incredibile e l’inizio di un’amicizia.
D: Poi nel 2003 il gran salto negli Appaloosa, band storica livornese... raccontaci.
R: La loro sala prove era accanto alla nostra e ci conoscevamo. A fine anni ’90 davanti al Mercato Centrale, sottoterra, c’erano i fondi delle migliori band del periodo. Io ero in fissa per la musica elettronica già da un po’ e avevo comprato il mio primo Mac portatile, cominciando a fare le mie prime cose: i ragazzi mi chiesero di fare qualche pezzo con loro e accettai. Cominciai a fare qualche concerto (la quinta o sesta data fu sul palco grande di Arezzo Wave prima dei Cypress Hill!) e cercai di partecipare sempre di più alla realizzazione dei brani, finché non entrai a far parte del gruppo in pianta stabile. Potrei dire che l’ufficialità arrivo con la pubblicazione di “Non posso stare senza di te” (Urtovox, 2005).
D: Nel 2005 intraprendeste anche un piccolo tour in Spagna, nei Paesi Baschi... una bella soddisfazione... luogo penso non scelto a caso.
R: Avevamo amici sia a Bilbao che a Madrid che ci proposero di suonare lì. Fu un’esperienza favolosa e la prima volta che abbiamo annusato una realtà diversa da quella nazionale. Il locale di Bilbao era un centro culturale e praticamente non chiudeva mai, dalla colazione alla discoteca. E mi innamorai di Madrid.
D: CD (Savana, The worst of Saturday night), tour in Germania, Francia, Svizzera oltre naturalmente all'Italia,
Livorno compreso... be’, non male...
R: Sì, una bella avventura. Abbiamo mangiato tanti chilometri e incontrato centinaia di persone, in occasioni importanti o al limite della decenza; abbiamo condiviso trionfi e sconfitte: ho imparato molto andando in giro con gli Appaloosa e in certi momenti ho provato un senso di libertà che mi fa ancora sentire un privilegiato… Non è mai stata una questione di fama, tantomeno di guadagno: era magia.
D: Nel 2014 lasci la band... che successe?
R: Era il momento di farlo. I ragazzi avevano bisogno di girare sempre di più per vivere di musica (fermarsi sarebbe stato un disastro), ma il mio lavoro non me lo permetteva: li avrei ostacolati. Così decisi di lasciare, ma volevo farlo con la coscienza a posto. Prima registrai ‘The Worst of Saturday Night’, disco del quale vado ancora fiero e che rappresenta un cambio radicale per gli Appaloosa. Poi feci una ventina di concerti di promozione al disco e infine passai la palla a Dyami, consegnando le mie parti musicali e pure il mio controller. I ragazzi si incazzarono un bel po’ all’inizio, ma poi capirono e sono riusciti a raggiungere altri traguardi. Per me furono due anni di stress psicologico pesantissimo che mi son sempre tenuto per me, ma credo di aver fatto la scelta migliore per tutti e ci vogliamo anche più bene di prima: gli Appaloosa sono una famiglia.
D: Una carriera solista fino al recente Dimaggiobaseballteam... tutto ok?
R: In realtà Dimaggiobaseballteam nasce nel 2003 come progetto solista di musica elettronica e songwriting, ma nel tempo è diventata la “firma” di tutta la mia produzione creativa, a prescindere dal formato utilizzato (audio, video, scritto, disegnato e quant’ altro capiti). Di certo non sono stato costante: gli Appaloosa, la vita da insegnante precario – finita, per fortuna – e quella privata bastavano e avanzavano a riempire le giornate. Però, in proporzione, ho avuto le mie soddisfazioni dilatate in quasi 20 anni e sicuramente è la versione che meglio mi racconta.
D: Recentemente ti sei esibito per streaming al Goldoni, passata la tempesta Covid quale progetto, altri concerti, altre esperienze in gruppo?
R: Diciamo che il Covid è stato l’input per capire quanto sia doveroso curare il proprio lato espressivo, un’ancora di salvezza irrinunciabile oramai. Così ho deciso che è arrivato il momento di uscire allo scoperto e pubblicare il mio materiale prima di diventare la leggenda di me stesso. l'8 Dicembre 2020 ho pubblicato “From 0 to 2”, un EP di tre brani strumentali che documentano e fissano questi anni passati a stretto contatto con i miei due figli: ci saranno almeno altre 2 uscite su questa linea nei mesi prossimi. Sto anche lavorando da un po’ a un disco di canzoni a cui tengo molto: al Goldoni ho suonato ‘Hunger’, ma c’è una versione electro pubblicata sulla Compilation WeLoveLivorno 2020: risale al 2015 ed è stata prodotta insieme a Simone Lalli (Autobam). Infine sto collaborando con l’associazione 8mm1/2 che restaura e digitalizza pellicole – siamo coinquilini in un coworking che si chiama Spazio, un’oasi creativa in città. Per ora mi fermo qui.
D: Simone, quali sono i tuoi mostri sacri, i musicisti che adoravi fin da bambino?
R: Se si parla di venerazione, indubbiamente i Fugazi: la loro energia non ha pari, così come il loro essere autentici, umili e profondamente umani. Conservo ancora gelosamente una cartolina di risposta scritta a macchina da Ian MacKaye in persona – l’ho anche intervistato 2 volte per GruMuLi, la fanzine che facevo a Livorno per documentare la scena cittadina di fine ’90. Per il resto, ci provo: The Smiths, Pavement, June of 44, Brian Eno, Robert Wyatt, Boards of Canada, Bob Dylan, Teebs, Dj Shadow, Arcade Fire… Ho passato più ore dentro a Wide Records che a lezione a Pisa.
D: Tutti noi ci "mangiamo ancora le mani" per non essere saliti su quel treno che aspettava solo noi... invece... dove andava il tuo?
R: Bologna o Siena, per studiare Scienze della Comunicazione, cominciare una vita da studente fuori sede e poi andare all’estero. Un’altra coincidenza persa andava a Londra con gli Appaloosa e un’altra ancora in uno studio di registrazione qualsiasi a fare un disco con Almayer - credo ancora che ce lo saremmo meritato. Faccio del mio meglio per non avere rimpianti… e come diceva il mio prof di filosofia, “con i SE e con i MA non si fa la storia”.
D: Chi è oggi Simone Di Maggio?
R: Un insegnante di Inglese e un genitore felice che, specialmente di questi tempi, crede sia doveroso perdersi nei sogni per opporsi alla pesantezza della realtà ed espandere la propria prospettiva. Di questo si occupa il coach di Dimaggiobaseballteam, tenendo a freno la schizofrenia.