D - Il tuo strumento è la batteria: è lei che ha scelto te o viceversa?
R - Difficile dirlo, per me è stata una scelta istintiva, diciamo che ci siamo scelti.D - Cappanera, musicalmente parlando, è un cognome importante. Questo tuo essere figlio d'arte ti ha condizionato?
R - All'inizio no. Crescere in una famiglia di musicisti ha sicuramente aiutato il mio percorso, vivere a stretto contatto con strumenti, negozi musicali, prove e concerti hanno fatto sì che la mia passione per la musica rimanesse sempre viva...
Nel periodo più recente invece, dopo la scomparsa del mio babbo e di Fabio, ho dovuto dimostrare molto, soprattutto perché quello fatto dai Cappanera senior aveva lasciato il segno. Spesso ho dovuto dare più di quello che avrei dovuto solo per guadagnarmi il rispetto per il cognome che portavo.
D - Quando ero piccolo io, purtroppo molti anni fa, i batteristi assemblavano i pezzi con i fustini del detersivo, magari usando la pelle che i loro padri usavano per asciugare l'auto. Oggi è un pò (per fortuna) diverso.
R - Quando ho iniziato io, avevo solo 4/5 anni quindi ancora eravamo agli inizi degli anni ottanta, anch'io mi arrangiavo con fustini del dixan, pentole ed un posacenere anni 80, quelli fatti a piedistallo... lo usavo come charleston. Oggi mi trovo ad insegnare a giovani batteristi che magari non hanno la possibilità di avere una batteria (anche se elettronica) e quindi li indottrino su come anche con poco si può suonare in casa. Ovvio che per fare il salto di qualità una batteria prima o poi è d'obbligo.
D - Suonare la batteria è faticoso, Un batterista durante un concerto perde molti liquidi. Ti prepari in maniera particolare o lasci che tutto accada?
R - Mi piace tenermi in allenamento soprattutto perchè tra i batteristi sono uno che picchia e si muove più del normale, quindi vado a correre anche tre volte a settimana e se ho tempo seguo dei corsi di ginnastica pugilistica. Non sono un fumatore, ho sempre avuto molto fiato e mi piace tenermi quindi in allenamento soprattutto adesso che sono vicino ai 40 e voglio continuare a suonare nello stesso modo nel quale facevo da ventenne. Ho sempre detto che se un giorno non riuscirò più a suonare con la forza e l'energia che ho ancora oggi, smetterò.
Ne ho visti tanti non essere più gli stessi e diventare la versione stanca di quelli che erano una volta... Ian Paice uno degli ultimi. Piuttosto è meglio trovare una nuova via per esprimersi anche con la batteria e magari non salirei sul palco per un concerto della Strana Officina.
D - La tua carriera si intreccia con quella di altri due grandi musicisti livornesi: Simone e Roberto Luti. Vi siete incontrati giovanissimi, direi bambini e non vi siete più lasciati.
R - Siamo come fratelli, abbiamo proprio lo stesso rapporto di tre fratelli veri. Siamo stati battezzati alla musica da Johnny Salani, Fabio e Roberto Cappanera nella sala prove della Strana Officina nel lontano 1989. Adesso sono passati 26 anni! Sembra ieri. Riusciamo a suonare con la stessa voglia di 26 anni fa, capendoci con uno sguardo e delle volte capendoci anche senza sguardi semplicemente in modo istintivo capiamo quando uno di noi tre sta per andare da qualche parte (durante un'improvvisazione in sala prove o su un palco).
D - Parliamo del vostro ultimo lavoro come TRES, ci anticipi qualcosa?
R - È un disco molto profondo. Questo è quello che mi viene da dire. Perchè in generale non ci sono brani diretti. C'è bisogno di dedicarsi all'ascolto senza fretta. Ascoltarlo come se fosse una colonna sonora di qualcosa che l'ascoltatore è intento a fare... magari in viaggio, in cucina, producendo arte, a correre sul mare. Se ti aspetti di metterti davanti allo stereo e capire tutto subito non è il disco che fa per te. I brani iniziano e poi non sai dove ti porteranno. Abbiamo registrato come si usava fare fino agli anni 90. In modo analogico... non solo con attrezzature analogiche, ma anche lavorando in modo analogico quindi più umano e sensazionale invece che schiavi della tecnologia. Abbiamo arrangiato molte canzoni in studio e quando eravamo soddisfatti le registravamo anche dopo 10 ore che eravamo dietro ai nostri strumenti. È tutto molto bello anche se sappiamo che la musica ormai non si vive più in questo modo. Se una canzone dopo 30 sec non ti ha detto niente si passa avanti. Non c'è più il tempo di aprire un giradischi pulire la puntina regolare l'equalizzatore, mettersi sul divano e godersi della buona musica. Solo chi ha provato queste sensazioni una volta, sa cosa vuol dire.
D - Quale è stata la più grande soddisfazione nel corso della tua carriera?
R - Ce ne sono state tante. Un giorno ero in aereo da solo di ritorno da Londra (credo), c'era un tramonto in lontananza e mi rivedevo bambino quando immaginavo di diventare un musicista e suonare su grandi palchi davanti a tanta gente. La soddisfazione è essere riuscito a far diventare quel sogno realtà, soprattutto esserci riuscito malgrado la perdita di una persona, il mio babbo, che avrebbe reso sicuramente tutto più semplice, tutto più a misura di adolescente, lasciandomi provare e sbagliare, ma sarebbe stato un supporto enorme visto che avremmo condiviso la stessa passione. Dopo mille difficoltà comunque ero su un aereo di ritorno da qualche concerto, o session in studio o videoclip. Con un nome che sono riuscito a portare in alto e con una storia da raccontare. Nella musica noi sai mai dove potrai andare, credi di aver raggiunto il massimo di quello che potevi con i mezzi e le possibilità che ti si sono presentate, ma poi arriva una telefonata o incontri qualcuno e da lì inizia qualcosa di nuovo. Quindi la più grande soddisfazione magari ancora dovrà arrivare.
D - Charlie Watts dei Rolling Stones ha detto che il culo che conosce meglio è quello di Mick Jagger perchè sono 50 anni che se lo trova davanti sul palco. Quale è il tuo culo?
R - Io consoco bene quello di mia moglie che tra l'altro è un gran bel vedere... ahah. Per il resto ho l'imbarazzo della scelta tra il Bud (Strana Officina) 110 kg di Heavy Metal, Bob (Tres) con quei pantaloni col cavallo basso, Andrea Appino con un fisico da ragazza e dei pantaloni elasticizzati... e poi tutti gli altri che hanno avuto il piacere di avermi alle loro spalle. Perchè è vero che il batterista è sempre dietro... ma il detto "ti copro le spalle" presuppone il fatto che una persona di cui hai fiducia e con la capacità di "coprirti" stia dietro e non davanti. Ha una visuale migliore su tutto ciò che accade e può intervenire su tutti quando vuole per riportare le cose al suo posto.
D - I batteristi che hanno influenzato il tuo stile e il tuo preferito in assoluto.
R - Vabbè il mio preferito è John Bonham... l'unico ed il solo! Il primo batterista Rock della storia, colui che ha infranto il muro dei rudimenti Jazz e della batteria Jazz influenced. Bonham è andato oltre dove non c'è tecnica, impostazione, impugnatura, rulli o altre minchiate a far da padrone, ma ci sei te, la batteria ed una canzone da arrangiare, tanto sudore e bacchette truciolate. Ho sempre preferito i batteristi che suonavano in band che mi piacevano, o di cui mi piaceva la musica. Bill Ward /Black Sabbath, Chad Smith/Red Hot Chili Peppers, Brad Wilk/Rage Against The Machine e poi... Randy Castillo e Tommy Aldrige/Ozzy Osbourne... non dimenticando Mitch Mitchell/J.Hendrix...
D - Se tu non fossi diventato un batterista che lavoro ti sarebbe piaciuto fare?
R - Secondo me uno nella vita dovrebbe capire la cosa per cui è portato. La cosa che gli viene meglio in assoluto, per la quale è un "predestinato", per me è stata la batteria, se non ci fosse stata quella chi lo sà forse avrei potuto dare del filo da torcere a Valentino Rossi!
La mia mamma, mi ricorda sempre, che da piccolo dicevo che da grande avrei voluto fare il "casalingo", vista la mia passione per la cucina forse mi immaginavo Chef, la seconda che dicevo era fare l'archeologo ed ho pure provato iscrivendomi a Geologia, ma la musica mi aveva ormai catturato e tutto il resto era in secondo piano.
Quindi Chef/Ristoratore o Archeologo... forse la seconda.
Intervista di Massimo Volpi