Livorno in musica ieri e oggi: intervista a Paolo Montella, chitarrista e violinista
di Massimo Volpi
D: Paolo Montella, chitarrista e violinista. Partiamo dall'inizio... immagino chitarrista fin dalla tenera età.
R: Ho iniziato a suonare la chitarra all'età di circa 12 anni, prendevo lezioni dal mitico Tony di Music City.
D: Negli anni ‘70 fai parte anche di un ottimo gruppo: gli Idoli. Bei tempi, bella musica, che ricordi hai?
R: Alla fine degli anni ‘60 inizia l'avventura degli Idoli. Il piacere di fare musica insieme, le prove, le serate. Avevamo due impresari che ci mandavano in giro soprattutto nel livornese, pisano, lucchesia e noi partivamo compatibilmente con gli impegni scolastici, e lavoravamo molto in estate. Eravamo minorenni, ci dovevano accompagnare, un babbo guidava il furgone con gli strumenti. Ho magnifici ricordi di quel periodo: la passione per la musica e l'amicizia che era nata fra tutti i componenti del gruppo ci faceva passare ore fantastiche insieme tra musica e divertimento. Sono trascorsi così più o meno dieci anni, poi gli impegni di lavoro o di studio, io ero all'Università. Tempo ne rimaneva poco e ognuno ha preso strade diverse, è stato tristissimo, ma comunque abbiamo vissuto un periodo fantastico.
D: E poi il grande amore per il violino...
R: Negli anni del gruppo musicale mi era nata la voglia di studiare la musica. Trovai un’insegnante amica di famiglia violinista che accettò di insegnarmi la musica. La presenza del violino che mi faceva ascoltare fu un colpo di fulmine e iniziai anche lo studio di questo fantastico strumento.
D: La chitarra l’hai abbandonata del tutto?
R: Assolutamente no, sempre suonata per me e gli amici. Ho fatto per anni piano bar con la chitarra e la tastiera.
D: Come violinista entri a far parte dell'Ensemble Bacchelli...
R: Ho fatto il fotografo di professione e tempo ne avevo poco, ma ho sempre suonato e studiato, ripeto, facevo serate di piano bar, non pensavo all'orchestra, ma fu l'incontro con un componente dell'Ensemble che mi invitò nel gruppo a far scattare la molla. Conoscevo già da tempo Rita Bacchelli che mi accettò, così, oltre al piacere immenso di stare al centro delle note, di suonare quei pezzi classici che avevo da sempre ascoltato, si è consolidata l'amicizia con questa fantastica donna e direttrice eclettica.
D: Tra gli Idoli e l'Ensemble che hai fatto?
R: Come ho detto ho fatto il fotografo di professione, la fotografia è un altro mio grande amore. Ho fatto foto di moda, matrimoni, pubblicità, ho tenuto corsi. Mie foto sono apparse in pubblicazioni dei vari settori. Ho vinto premi e avuto segnalazioni in concorsi nazionali e internazionali, insomma, è stato lavoro e divertimento insieme e di questo sono contento.
D: Quali sono i tuoi mostri sacri, i chitarristi che da piccolo imitavi davanti allo specchio e i violinisti che hanno contribuito alla tua formazione?
R: Mi è difficile rispondere a questa domanda, tanti sono i mostri sacri chitarristi e violinisti e ascoltando tutti che mi sono formato e sempre più appassionato.
D: Progetti futuri?
R: Ho un po’ di idee, per adesso preferisco non parlarne.
D: Oltre che musicista sei anche pittore e scrittore...
R: La pittura e il disegno sono altri grandi amori. Ho iniziato anche questi giovanissimo, durante la scuola elementare e non ho mai lasciato. Amo sperimentare tante tecniche, dalla grafite al carboncino, pastelli, penne, acquarelli, olio, ecc. Ho fatto mostre collettive, personali e concorsi, ho ricevuto anche dei premi. Sono un accanito lettore da sempre e da sempre scrivo poesie che chiudo in un cassetto, non avevo mai pensato a pubblicarle. L'incontro con un’amica scrittrice livornese ha fatto scattare la molla e a novembre 2022 è uscita la mia prima raccolta di poesie “Solo per il mare” per le edizioni CTL. È stato un sogno avverato, una grande soddisfazione.
D: Tutti noi abbiamo un rimpianto, il rimpianto di non essere saliti su quel treno che aspettava solo noi... dove andava quel treno?
R: Chissà, alla fine meglio non averlo preso.
D: Chi è oggi Paolo Montella?
R: Un pensionato che nella vita ha fatto grosso modo quello che più gli è piaciuto fare e continua a fare le solite cose con un po’ più di tempo a disposizione.
Livorno in musica ieri e oggi: intervista al cantante Nicola Barboni
di Massimo Volpi
D: Nicola Barboni, cantante. Quanto è stato importante per te prendere un microfono in mano?
R: Il canto per me è sempre stato uno dei valori più importanti della mia vita, mi ha fatto superare qualsiasi tipo di difficoltà, ad avere fiducia in me stesso e di non dare peso hai pregiudizi e molte altre cose.
D: Quindi la musica in un certo senso è stata per te qualcosa di più di una semplice evasione.
R: In pratica è stata una compagna di avventura che ti porta a crescere ed a svelare anche delle volte la verità dei fatti.
D: Cosa stai facendo ora e quali sono i tuoi progetti futuri?
R: Per adesso con il karaoke sono fermo, anche perché sto notando nei paraggi la situazione non è facile per molti, però io mi sto evolvendo, sto migliorando e migliorare il suono ciò che mi è sempre piaciuto, con il mio team stiamo lavorando sodo per ripartire più preparati di prima.
D: La pandemia in un certo senso “ti è venuta incontro”?
R: Sì, stiamo procedendo anche nella sezione Online-Web design dove mi sto perfezionando, ho raggiunto dei buoni risultati dove molte persone mi seguono sul web.
D: La strada dello streaming è una “figata”...
R: Sì, ed è anche un sogno che si realizza; essendo anche Tecnico Informatico, mi ha portato a non esibirmi per forza dal vivo ma anche nel mondo di internet, dove le persone mi seguono e si divertono.
D: Immagini la tua vita senza musica?
R: No davvero. La passione che ho per la musica rappresenta ciò che sono e ho sempre creduto. Se rinunciassi a questo è come se perdessi una parte di me stesso e non ci rinuncerò mai!
D: Dacci delle anticipazioni, dai...
R: Ben presto ci saranno anche delle belle novità, che non voglio svelare perché è una sorpresa e non resta che procedere e divertirmi come ho sempre fatto.
D: Anche se tu stesso sei giovane cosa consiglieresti ad uno che intendesse seguire questa strada?
R: Un consiglio per i ragazzi che volessero intraprendere questa strada è di seguire sempre ciò che amate fare, divertitevi sempre e fidatevi del vostro istinto, viva la musica.
Livorno in musica ieri e oggi: intervista al cantante Dany Pelys
di Massimo Volpi
D: Dany Pelys nato Daniele Pellissero... farina del tuo sacco?
R: No, l'alias mi è stato dato dall'amico Alex Matteoli... mi è piaciuto, l'ho adottato.
D: Dany cantante e intrattenitore...
R: Sì, sono circa venti anni che canto ovunque mi sia data l'opportunità.
D: Il tuo nome è legato anche all'organizzazione di eventi...
R: Sì, certo. Organizzare eventi e concorsi canori, anche a carattere nazionale mi diverte e appaga.
D: Ricordaci qualche tuo evento.
R: Oddio, sono molti, ad esempio: Una voce per domani, Live contest show, che era un festival canoro suonato dal vivo. Entrambi si svolgevano due volte l'anno. In questo mi ha aiutato l'amico Danny Puccini.
D: Dai, non farti tirare fuori le parole di bocca...
R: Musicarte premio nazionale, moltissime serate sulla costa livornese e pisana, Cascina... e poi il Memorial Claudio Pellissier... dedicato a mio padre.
D: Dicci qualcosa di più.
R: Organizzato insieme ai miei fratelli Alessandro e Mirco è il mio fiore all'occhiello con artisti provenienti da tutta Italia e ormai giunto alla quattordicesima edizione. Tutto nasce nel 2009 con l’idea di organizzare un concorso canoro intitolato ‘Emozioni sul palco’, per offrire un bel palcoscenico a tutti coloro che amano cantare ed esibirsi davanti al pubblico. Due anni dopo, con la prematura scomparsa di mio padre, il concorso è stato accostato al ‘Memorial Claudio Pelissier’... Mio padre è stato definito, dalla critica nazionale e non solo, ‘il poeta emozionale’, un artista capace di incantare con le sue fini pennellate: a lui è dedicato questo ‘memorial’ speciale che, ormai da anni, si tiene a Livorno, la sua tanto amata città.
D: Insomma, non “stai mai fermo”.
R: Proprio così, se poi ci metti anche matrimoni, compleanni e feste private...
D: Sei un ottimo cantante ma anche una persona molto modesta. So per certo che fai anche tanta beneficenza attraverso i tuoi eventi. Cito a caso e mi scorderò sicuramente qualcosa: Aiuto per l'Abruzzo, per la piccola Asia, per la Lilt, per Emergency, per le cure palliative, per la piccola Giulia, Memorial Romina, per la Agosm (ragazzi autistici), per la realizzazione di un Ospedale pediatrico in Calabria, per l'associazione Melavivo di Roma, per l'Associazione Apaim di Roma, per aiutare la piccola Jo di cui tutti conosciamo la storia...
R: Beh, hai detto tutto te. Posso solo dire che in quei momenti mi sento proprio realizzato e in pace con me stesso.
D: Durante le tue serate cosa proponi al pubblico?
R: Gli artisti che amo di più: Roberto Vecchioni, Francesco De Gregori, Renato Zero e Claudio Baglioni ma anche Tiziano Ferro, Marco Mengoni ed Elisa.
D: Da grande invece cosa farai?
R: Continuerò a far divertire divertendomi e cercherò di offrire sempre un palco a tutti coloro che amano la musica. Il giorno che smetterò di divertirmi ed emozionarmi attaccherò il microfono al chiodo.
Livorno in musica ieri e oggi: intervista al chitarrista Ariberto Carboncini
di Massimo Volpi
D: Ariberto Carboncini chitarrista. Quando hai scoperto l'amore per questo strumento?
R: L'amore per la chitarra mi è stato insegnato da mio padre che aveva imparato da suo padre e che io ho trasmesso a mio figlio Riccardo.
D: Nel maggio del 1965 formi gli Atomici, gruppo beat, come erano soliti chiamarvi... bei ricordi, no?
R: La data precisa non la ricordo, ma ero proprio un ragazzino quando con Enrico Demi, Roberto Panciatici, Riccardo Chiesa e Roberto Dell'Agnello si fondò il gruppo “Gli Atomici”, nome suggerito dal babbo di Enrico Demi.
D: In quella bellissima estate siete ospiti fissi del Caminetto di Tirrenia e La Casa del Popolo di Zambra...
R: Sì, abbiamo suonato in quei locali ma non solo. Dopo un po' il sax di Roberto Dell'Agnello ci lasciò e fu sostituito dal sax di Corrado Lomi. In quel periodo avevamo un contratto per tutta la stagione alla Pergola di Cenaia la domenica pomeriggio. Finito il servizio verso le 18.30-19.00 smontavamo gli strumenti per andare a fare la serata a Nibbiaia: pensa che pazzi.
D: Il gruppo ebbe vita breve, si sciolse infatti nel dicembre delo stesso anno, ma riusciste ad esibirvi al Gran Ballo d'Autunno organizzato dal circolo studentesco “Cave 61” nei saloni dell'Hotel Palazzo... una bella soddisfazione...
R: Sì, fu una bella soddisfazione. Essere scelti per il Gran Ballo d'Autunno non era semplice.
D: Sei rimasto in contatto con gli altri Atomici?
R: Per un po' di tempo sì, ma poi ci siamo persi di vista. Con Roberto Dell'Agnello sono in contatto via Facebook.
D: Hai attaccato la chitarra al chiodo o hai avuto altri gruppi?
R: No, non ho attaccato la chitarra al chiodo, anzi: dopo lo scioglimento degli Atomici mi chiamò il gruppo Elite 95 (pensa 95 perché in 5 avevamo 95 anni...) ed è stata la band con la quale mi sono tolto molte soddisfazioni. Il lavoro non ci mancava ed eravamo assidui in due locali: il Sirena di Rosignano per l'inverno e il Jolly Beach di Marina di Bibbona per l'estate dove a settimana facevamo anche quattro servizi. In questo locale poi, dopo lo scioglimento degli Elite 95, ho suonato con diversi musicisti, tra i quali Roberto Galazzo, con il quale ho suonato anche con Aldo e i Consoli. Poi ho suonato anche con Toscano e i Sovrani. Ho smesso di suonare a 50 anni senza dimenticare Marco Shoemberg e Franco Rossiello.
D: Quali sono stati i tuoi punti di riferimento, i tuoi mostri sacri, i chitarristi che imitavi nella tua cameretta?
R: Beatles, Luigi Tenco e Fabrizio De Andrè del quale, come solista, ancora oggi faccio qualcosa.
D: Tutti noi abbiamo rimpianti o rimorsi, musicalmente parlando, qual è il tuo più grande rimpianto?
R: Sinceramente non ho rimpianti, forse qualche piccola delusione, ma rimpianti no.
D: Chi è oggi Ariberto Carboncini?
R: Un piccolo imprenditore con una azienda di costruzione di insegne luminose con 13 dipendenti e che lavora ancora nonostante i suoi 74 anni ma sempre innamorato della musica.
Livorno in musica ieri e oggi: intervista al batterista Alessandro Baldeschi
di Massimo Volpi
D: Alessandro Baldeschi... batterista fin dalla nascita immagino... per la gioia dei tuoi vicini di casa.
R: In verità ho iniziato a suonare la batteria un po' tardi... avevo 16 anni. Devi sapere che io sono nato a “pane e musica”: mio nonno suonava il bombardino nella banda cittadina e mio babbo era un virtuoso; suonava infatti il sassofono, il clarinetto e il flauto. La sera non avevamo ancora la televisione e la radio era il nostro passatempo; naturalmente in un ambiente familiare del genere era facile sintonizzarsi sui canali musicali. Avevo dieci anni quando mio padre decise che dovevo frequentare l'Istituto Mascagni e imparare a suonare il violino. Ma quello strumento non faceva per me, con gran rammarico di mio padre. A sedici anni la “svolta”: un mio caro amico mi propone di iniziare a suonare la batteria di sua proprietà. Io non ho mai avuto una batteria in casa mia... andavo in Via San Luigi… quindi la gioia era tutta degli inquilini di quello stabile.
D: Hai iniziato nel lontano 1965 con il gruppo Siderali suonando soprattutto nei circoli rionali riscuotendo molti consensi... bei tempi...
R: Nel 1963 fui assunto alle Poste e con il mio primo stipendio mi feci un bel guardaroba alla moda, ma con il secondo comprai una bella batteria. Nacquero nel 1965 i Siderali riscuotendo da subito un bel consenso. Circoli rionali ma non solo ci davano la possibilità di esibirci e noi lo facevamo molto volentieri. Poi come spesso succedeva, le fidanzate di alcuni sciuparono tutto e il gruppo si sciolse.
D: Poi nel 1967 dalle ceneri dei Siderali nascevano i Lords. Che ricordi hai?
R: Delle cosiddette ceneri c'ero solo io. Ma non fu difficile “mettere su il gruppo”. A quel tempo all'Attias c'era un vero e proprio “mercato del musicista”; la vicinanza del negozio Pietro Napoli faceva sì che molti musicisti livornesi frequentassero la zona e così nacquero i Lords.
D: Il vostro era un repertorio fatto di cover molto accattivante.
R: Si faceva tutto per tutti. Nelle sale da ballo dovevamo “andare dietro alla moda” musicale del tempo, dovevamo suonare “i balli” del momento, far ballare la gente. I proprietari di dancing ci cercavano soprattutto in estate ma non solo. Il Jolly Beach di Bibbona ci fece un contratto da giugno a settembre... tutte le sere meno il lunedì. Era duro ma gratificante. In inverno invece ci chiamavano a suonare nelle feste comandate e nelle feste private.
D: Nel 1970 il gruppo si scioglie... che successe?
R: Non è esatto dire che si sciolse: si modificò. Fidanzamenti, matrimoni, lavoro, orari fecero sì che alcuni elementi abbandonassero il gruppo mentre altri li sostituivano. Le sale da ballo avevano scelto di cambiare, i dj avevano preso il posto delle orchestre ma rimanevano sempre le varie feste di partito che permisero al gruppo di lavorare fino al 1998.
D: Hai avuto altri complessi o hai “attaccato le bacchette al chiodo”?
R: Dopo una breve parentesi nei Sovrani con Gigi Orlandi ho attaccato le bacchette al chiodo. Pensa non ho più neanche la batteria!
D: Quali sono stati i tuoi mostri sacri, i batteristi che imitavi davanti allo specchio?
R: Sinceramente nessuno. Non avevo un modello al quale mi ispiravo.
D: Gli anni '60... anni irripetibili... la musica, la gioventù. Raccontaci.
R: Ci vorrebbe un libro! Gli anni 60... un sogno: gioventù, belle ragazze, una vita spensierata... non mi far ricordare...
D: Tutti noi abbiamo rimorsi e rimpianti che ogni tanto fanno capolino... musicalmente parlando, qual è il tuo più grande rimpianto?
R: Uno grosso. Era il 1978 quando fui contattato dall'impresario Bentivoglio. Voleva costituire un trio: pianoforte, basso e batteria per fare musica d'ascolto durante il pranzo e la cena al Gran Hotel Hilton di Abu Dabhi che al tempo si chiamava Repubblica Araba Unita ed era sul punto di esplodere turisticamente. La paga? Tre milioni e mezzo al mese quando alle Poste guadagnavo 600.000 lire. Non ci crederai ma dissi di no. Un altro rimpianto è quello di non avere studiato musica e uno strumento individuale. La batteria infatti è sì uno strumento ma ha bisogno della “compagnia” di altri strumenti. A conti fatti, mio padre aveva ragione.
D: Chi è oggi Alessandro Baldeschi?
R: Un pensionato ancora innamorato della musica che pagherebbe oro per tornare a sedersi dietro una batteria.