Crisi. La parola stessa ti manda in crisi. Basta nominarla e già ti assale un sentimento di paura, di smarrimento. Tutti ne parlano, tutti la disprezzano, tutti la scongiurano.
Che la crisi esista non vi è alcun dubbio, ma c’è anche chi un po’ ci marcia. Conosco persone, già ricche di suo, che si lamentano anche se il loro conto in banca da due milioni di euro tondi tondi è sceso a un milione e novecentonovantamila. Be’, è un vizio umano quello di lamentarsi sempre.
Chi invece ha ben diritto di lamentarsi sono quelle classi sociali che tirano avanti con stipendi di cui neanche scrivo la cifra. Loro sì che potrebbero scendere in piazza e esigere qualcosa di più da questi politicanti che ormai non hanno più colori, né grandi ideali, né idee geniali. Non intravedo spiragli né a destra né a manca.
Chiedo qualcosa, come al solito armato di registratore piccolo e digitale, a una signora intorno ai sessant’anni, seduta su una panchina a Villa Fabbricotti mentre la sua nipotina gioca con altri bambini.
«Buongiorno signora… posso farle qualche domanda sulla crisi di oggi?»
«Perché, domani non c’è più?»
«Be’… no, non credo…» rispondo titubante al ghigno sarcastico della donna.
«Cosa vuole che le dica? Come la penso?»
«Sì, ecco, è interessante conoscere le opinioni della gente.»
«Allora le rispondo che la crisi c’è, si vede, si sente e si tocca. È un buco nero che si porta via tutto. Però io non posso lamentarmi.»
«Bene. Lei è tra quelle persone che intravedono una luce di speranza?» chiedo.
«Mmh… no, non direi. Io non mi lamento perché fortunatamente mio marito fa un lavoro che gli permette di tirare avanti bene la famiglia.»
«Scusi… che lavora fa suo marito?»
«Ha un’agenzia di pompe funebri.»
Stavo per rispondere che questa è un’attività che non muore mai, ma ci rinuncio e annuisco.
«Ci manca una guida…» continua la signora, «qualcuno che sappia davvero prendere in mano un Paese e farlo diventare produttivo, investire, rischiare.»
«Investire… rischiare… in che modo?» le domando anche se in realtà la penso un po’ come lei.
«La ricerca. Se si tagliano i fondi per la ricerca un Paese è destinato a morire. E noi, la nostra Italia non può permettersi di sprofondare nel nulla, con la storia che abbiamo…»
«Continui, signora…»
«Si rende conto che abbiamo avuto gente come Leonardo da Vinci, Volta, Mattei, Colombo, Michelangelo… vuole che vada avanti all’infinito? Abbiamo avuto personaggi della scienza, dell’arte e della cultura che il mondo c’invidia, e adesso… e adesso non diamo più la possibilità ai giovani di fare ricerca, di studiare arte, di tirar fuori la genialità!»
Scopro che la signora è un’insegnante alla Scuole Medie, e mi piace come s’infervora nella discussione.
«Quindi che potremmo fare?» insisto.
«Non lo so. Vada a parlare con qualche ministro, si faccia dire perché si taglia la scuola, la cultura e invece le macchine blu sono ancora lì a portare a zonzo chi potrebbe usare la propria auto!»
«Ci potrei anche parlare, ma tanto non mi darebbero retta.»
«E allora teniamoci questa crisi. Le soluzioni ci sarebbero, neanche troppo facili, ma con la buona volontà e il coraggio si potrebbe rinascere. Ci vorrebbero i filosofi a guidare i popoli, non i politicanti pasticcioni, disonesti e assetati di gloria e di potere.»
I filosofi… già, come nell’antica Grecia, quando allora la parola contava davvero qualcosa, quando il ragionamento non era fine a se stesso, ma costruttivo. Il filosofo conosce le esigenze della gente, e allora potrebbe agire per il meglio. Facciamo così: ogni ministro dovrebbe avere al seguito un filosofo, un consigliere super partes che raccoglie le idee, le lamentele e i disagi del popolo e li riferisce. E se poi anche il filosofo si fa catturare dal meccanismo del potere? Mah! L’uomo sarebbe da rifare, o meglio, da modificare nel suo DNA per avere un mondo migliore. E un buco nero in meno.
Saluto la simpatica signora, promettendole che fisserò un appuntamento con un politico.
Leo